Comune di Salgareda

BARACCHE A SALGAREDA di Renzo Toffoli

Pubblicata il 07/08/2023

Prima della Grande Guerra a Salgareda si contavano 620 abitazioni; a conflitto ultimato 450 erano totalmente distrutte, 150 risultavano danneggiate in modo significativo, ma riparabile e solo 20, tutte situate nella parte nord del Comune (Candolé, Pizzocchera, Tana, S. Lorenzetto e lungo il canale Bidoggia ad Arzeri), erano ancora abitabili. La situazione che descriviamo è sovrapponibile a quelle degli altri paesi rivieraschi il Piave: da parte del Genio Militare, si approntarono subito le baracche. Poi si edificarono le case secondo questa priorità: gli uffici pubblici, i luoghi di culto e le abitazioni dei benestanti che potevano disporre di una liquidità sufficiente; poi le case coloniche, in quanto funzionali all’economia agricola del territorio (e dei proprietari). Tale ricostruzione favorì anche un miglioramento delle condizioni di vita dei mezzadri. Infine, quelle dei “repetìni”, termine che identificava una categoria sociale che non possedeva nulla di proprio. Nel 1924, delle 450 case totalmente distrutte dalla guerra, i proprietari terrieri stavano man mano ricostruendo circa 150 edifici colonici per ospitare i loro mezzadri ed assicurare così la continuità produttiva dei loro poderi; mancavano all’appello ancora molte abitazioni dal conteggio anteguerra. In quell’anno erano presenti a Salgareda ancora 293 baracche. Nelle nostre ricerche abbiamo rinvenute tutte le schede dettagliate di queste baracche. Nell’elenco c’erano famiglie di ogni condizione sociale, persino dei benestanti che utilizzavano la baracca come soluzione transitoria in attesa che le imprese edili, particolarmente oberate di lavoro in quegli anni, potessero costruire la loro villa. Inoltre, da queste schede si evince che, pur con le 30 baracche presenti, il vecchio centro di Salgareda (già allora denominato Chiesavecchia) si stava spopolando a favore di Talponada e Vigonovo. Nella golena del Piave, dove la distruzione delle case era stata totale, c’era solo la baracca di Natale Salvelli; le altre famiglie preferirono risiedere in baracche oltre l’argine, al sicuro dalle piene del fiume. Erigere una baracca all’interno dell’area golenale era estremamente pericoloso perché, non avendo fondamenta, ma poggiante solo su dei plinti, una piena del fiume poteva facilmente sollevarla e trascinarla verso valle. Nella scheda relativa alla baracca di Natale Salvelli è riportato che questi si stava già costruendo in golena, da solo, la propria modesta abitazione che era composta da sole due stanze, disposte su due piani. Si trattava della stessa minuscola casetta che Goffredo Parise acquisterà (ed amplierà) nel 1970. Ma Natale Salvelli, abitando ostinatamente in quella baracca in golena, voleva in qualche modo presidiare il suo minuscolo appezzamento di terreno mentre si costruiva la sua umile dimora, sfidando così la furia di quel fiume con il quale aveva sempre convissuto tutta la vita fino alla grande alluvione del 1966 che gli lesionò fortemente l’abitazione e lo costrinse a ritirarsi in casa di riposo.
La situazione delle baracche presenti nel comune non si risolse affatto rapidamente. In una nota d’archivio del 24 maggio 1940 (a 22 anni dal termine della guerra), certamente parziale e non riferita all’intero territorio comunale, leggiamo che in località Vigonovo erano ancora presenti 11 baracche che ospitavano altrettanti nuclei famigliari per un totale di 53 persone, mentre tra Talponada e Chiesavecchia c’erano ancora 70 famiglie in altrettante baracche per un totale di 456 persone.
L’ultima concentrazione di baracche ad essere dismessa fu quella di Chiesavecchia. Infatti, a parte qualche baracca sparsa qua e là nel territorio che sopravviverà a quelle di Chiesavecchia, la concentrazione maggiore di questi tuguri sorgeva proprio nel sito della vecchia chiesa e piazza del paese lungo l’argine del Piave. Erano povere abitazioni dove vivevano i manovali e i braccianti. Costoro non sarebbero mai stati in grado di costruirsi una casa: era già molto se riuscivano a mettere assieme il pranzo con la cena. Vivevano in condizioni di estrema povertà e di promiscuità con tutte le conseguenze che quest’ultimo aspetto può comportare e facilmente immaginabili. Queste baracche a Chiesavecchia furono abitate da questa categoria di derelitti fino al 1956. In quell’anno questi tuguri furono sostituiti dalle attuali e dignitose (per l’epoca) abitazioni di edilizia popolare che l’“I.N.A. Casa” aveva fatto costruire nel vecchio centro del paese, divenuto estrema periferia dopo la Grande Guerra.
Conserviamo ancora il ricordo dell’ultima baracca di Salgareda, costruita a cavallo di un fosso dentro al quale precipitavano le deiezioni umane dal “cosiddetto” gabinetto di quella stamberga. Era situata alla fine del borgo “Polveriera” (all’inizio di via Callunga) e abitata da due nuclei familiari fino ai primissimi anni Sessanta. Alle due famiglie in questione furono assegnati altrettanti alloggi popolari nei palazzoni appena costruiti in via Europa. Nel 1968, tre o quattro anni dopo dalla dismissione di quell’ultima baracca, si sarebbe celebrato il cinquantesimo anniversario della fine della Grande Guerra. Tanto erano durati a Salgareda gli epigoni di quella tragedia.
Renzo Toffoli
 
Foto n 1: Come si presentava il vecchio centro di Salgareda, lungo l’argine del Piave, prima della Grande Guerra. (Archivio Renzo Toffoli)
Foto n 2: Lo stesso centro dopo la guerra. (Archivio Renzo Toffoli)
Foto n 3: Le baracche in località Chiesavecchia, smantellate nel 1956 per far posto agli attuali edifici popolare costruiti dall’“I.N.A. Casa”. (Archivio Renzo Toffoli)
Foto n 4: Il medesimo sito al giorno d’oggi… (Archivio Renzo Toffoli)
Foto n 5: Elaborazione fotografica di Marco Sutto del “Circolo Fotografico Centro Stile Salgareda”, che ha sovrapposto dalla medesima angolazione di ripresa la foto nr. 1 alla nr. 4 evidenziando così dove sorgevano i vecchi edifici in rapporto agli attuali.

Allegati

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Allegato 23 - Baracche a Salgareda.pdf 14.53 MB

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