Sesto al Reghena

Sesto al Reghena - Nelle terre degli Abati



l nome

I reperti archeologici rinvenuti nel territorio collocano l’origine di Sesto al Reghena in epoca pre-romana. Sesto era una stazione militare situata al sesto miliario della strada che collegava Iulia Concordia con il Norico. Il Reghena è il fiume che scorre nel borgo: il toponimo è di origine pre-romana, forse celtica (da reca, “torrente”).

Da vedere

Abbazia benedettina di fondazione longobarda (prima metà dell’ VIII secolo),  Santa Maria di Sesto - detta anche in Sylvis perché a quel tempo immersa in una vasta foresta (silva in latino) – è una delle più importanti istituzioni monastiche del Friuli Venezia Giulia. Vi si accede passando sotto la torre Grimani – modificata tra Quattro e Cinquecento – là dove fino al Settecento vi era il ponte levatoio. La torre è l’unica superstite delle sette che difendevano le mura; di fronte s’innalza la torre campanaria, scandita da lesene, che è la trasformazione della massiccia torre vedetta della metà dell’XI secolo. L’edificio in mattoni a sinistra è l’antica cancelleria abbaziale (ora scuola materna), sede della giurisdizione civile dalla fine del secolo XII; a destra la residenza degli abati (oggi sede municipale) è una costruzione d’impianto rinascimentale sulla cui facciata si conservano gli stemmi affrescati di quattro abati commendatari. A destra del campanile un arco rinascimentale immette in quella che era la zona vera e propria dell’abbazia fortificata. Sul lato meridionale del complesso, i muretti sul prato tra la chiesa abbaziale e il muro di cinta costeggiato di cipressi, disegnano il perimetro della primitiva chiesa dei tre fratelli longobardi.

Tornando sul lato est di piazza Castello, si nota che il palazzo degli abati (l’odierno municipio) forma un prospetto continuo con una loggetta a due piani e con il portico d’accesso al vestibolo della chiesa di Santa Maria. La piccola loggia, affrescata nelle pareti interne con scene cavalleresche della fine del XIII secolo, si addossa alla facciata a trifore. A destra una scala balaustrata conduce al salone, un tempo coro notturno per i monaci, oggi usato per manifestazioni culturali. Varcando il portone si accede al vestibolo interamente affrescato nelle pareti con il ciclo allegorico dell’Inferno a sinistra e del Paradiso a destra, e di San Michele nella facciata interna. L’opera, datata 1450 circa, è attribuita ad Antonio da Firenze e allievi. Nel vestibolo si apre a destra la sala delle udienze, oggi pinacoteca; la parte sud reca affreschi del XIII secolo. Si passa quindi  all’atrio romanico, diviso in tre navate da pilastri quadrangolari di mattoni.

L’interno della chiesa abbaziale presenta un notevole apparato di pitture a fresco in cui spiccano quelle della zona presbiteriale, eseguite intorno al secondo e terzo decennio del XIV secolo da pittori padovani della scuola di Giotto. Nella facciata interna d’ingresso, entro la lunetta, c’è una Madonna con aureola del XIV secolo; sopra la bifora lo stemma dell’abate commendatario Giovanni Grimani; a destra della porta il fondatore dell’abbazia Erfo con la madre Piltrude; nel primo pilastro destro Ottone e Hagalberta (metà del XIV secolo). Nel presbiterio troviamo la scena simbolica dell’albero della vita, il mistico Lignum Vitae, sempre degli allievi di Giotto. Da notare nella navata nord il battistero rinascimentale.

Nella cripta situata sotto il presbiterio, ricostruita nel 1913 e scandita da volte a crociera impostate su colonne marmoree (sono originali le basi delle prime sei colonne), si conservano i maggiori tesori dell’abbazia, oltre al ciclo giottesco. La quattrocentesca Pietà,  o Vesperbild, in pietra arenaria verniciata a olio, di ignoto maestro tedesco, che concentra su di sé tutto il dolore del mondo, con gli occhi della Madonna persi nel vuoto, invecchiata sotto il suo velo bianco. L’Annunciazione – scultura in marmo realizzata verso la fine del Duecento – mostra un angelo dai capelli avvolti nella rete che sembra un sacerdote orientale, e la Madonna con lettere greche incise nel polsino sinistro, entrambi iscritti entro una nicchia aperta su due archi trilobati. E infine l’urna di Sant’Anastasia, splendido monumento d’età longobarda (VIII secolo) formato dai resti di una cattedra di marmo greco, opera di maestranze di Cividale, la capitale del ducato longobardo del Friuli. Prima di essere trasformato in urna per le reliquie della santa, nel XIII secolo, questo capolavoro era in origine un leggio o un ambone da coro.

Intorno al complesso abbaziale si raccoglie il borgo, abbastanza ben conservato. Altri monumenti da visitare in territorio comunale sono la settecentesca Villa Fabris, una dimora privata con stemma gentilizio e affreschi all’interno, e Villa Freschi nella frazione di Ramuscello, anch’essa settecentesca e privata, uno degli esempi più rilevanti di “villa” in Friuli, con facciata monumentale e oratorio annesso.

È consigliabile infine compiere un percorso nei dintorni per riconoscere in alcuni tratti di strade di campagna, nell’allineamento di siepi e coltivi, o nel corso di canali e fossati, la centuriazione romana dell’agro di Concordia. Un paesaggio agrario interessante, dove meritano una visita l’antico mulino di Stalis sul guado posto tra le regioni Friuli e Veneto, la chiesetta campestre di San Pietro (secolo XII), la segheria del XVIII secolo a Casette e la fontana di Venchieredo, ricordata da Ippolito Nievo ne Le confessioni di un italiano.

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