La costruzione sembra poter risalire al primo settecento.
La proprietà è all'epoca del notaio Francesco Villa, come testimoniano gli stucchi della sala superiore che ne riprendono l'insegna, contraddistinta da una torretta con ai lati le iniziali F e V, sormontata da una bandiera con la lettera N.
Il dato appare confermato dal Catastico veneto del 1775. Il complesso è costituito dall'edificio dominicale e da una barchessa separata, posta perpendicolarmente ad esso, lungo il Valdentro.
La porzione di terreno compresa fra le due costruzioni è ora adibita a giardino. Il complesso è cinto da un muro. Agli inizi del secolo XIX, la villa è più volte stata teatro di riunioni Carbonare, tanto che il 12 dicembre 1818 vi viene arrestato Antonio Villa, nipote di Francesco, carbonaro polesano, morto allo Spielberg con il suo concittadino e amico Antonio Oroboni.
Nel Palazzetto, di recente splendidamente restaurato, si trova una importante collezione musicale privata.
Le caratteristiche architettoniche di Palazzo Lippomanno Monti permettono di farne risalire la costruzione al XVIII secolo (F.B.).
Tuttavia altre fonti daterebbero la costruzione dell'edificio alla prima metà del seicento, su commissione della famiglia Labia.
Il complesso sorge e si articola all'angolo fra due strade che confluiscono in uno slargo, dove si affaccia la chiesa parrocchiale di Fratta.
L'edificio si compone di un corpo centrale elevato su tré piani, con copertura a padiglione, e di due ali curve che abbracciano il piccolo cortile a formare un emiciclo.
Nel Catasto austriaco del 1852 la casa è proprietà di Giovanni Monti, livellario del nobile Gaspare Lippomano; il rustico, invece, è proprietà del fratello Giacomo, anch'esso livellario del medesimo Lippomano. I fratelli Monti erano entrambi affiliati alla Carboneria.
Il pronipote, il capitano pilota Giovanni Monti, nato in questo palazzo nel gennaio del 1900, apparteneva come pilota al Reparto di Alta Velocità di Desenzano del Garda, superò la velocità con idrovolante di 500 km/h necessaria per brevettarsi come pilota e cadde durante un volo di prova inabissandosi nel lago il 16 luglio del 1931.
Il Maresciallo Francesco Agello, della stesso reparto di Desenzano, stabilì il record mondiale di velocità con idrovolante nel 1934 con 702,209 km/h. E' questo il primato di velocità tuttora imbattuto per un idrovolante con motore a pistoni (il record fu superato da un più moderno idrovolante americano nel 1954 ma con motore a reazione).
La figura di Giovanni Monti viene ricordata anche per il passato sportivo come giocatore di serie A nel Padova dove giocò, dal 1919 al 1921, 176 partite segnando 51 gol. A lui è ancora oggi intitolato a Padova lo stadio di via Carducci, ora anche velodromo, che fu stadio calcistico del Padova prima della costruzione dell'attuale più grande e moderno stadio Appiani.
Il complesso è composto di tre fabbricati disposti in linea: la casa dominicale, il piccolo oratorio e la barchessa. Separato è presente un piccolo rustico dai caratteri neogotici.
L'edificio padronale è leggermente arretrato rispetto alla strada, sulla quale è rivolto il fronte principale; sul retro si stende un piccolo parco, nel quale sono presenti delle statue ed un pozzo, circondato da un fossato, che nel lato est segna il confine con Villa Oroboni.
Semenzato ne ipotizza un'origine seicentesca, rilevabile da elementi tra i quali spicca una trifora, composta da tre portali a tutto sesto, che si apre centralmente, al piano nobile. L'edificio pare aver subito dei rimaneggiamenti durante l'Ottocento.
Nel Catastico veneto del 1775 il complesso risulta proprietà di Domenico Vincenzo Davì e dei suoi fratelli. Nel 1852, in base al Catasto austriaco, appartiene ancora alla famiglia Davì.
Nelle mappe del Catasto austriaco del 1852 l'edificato appare composto dalla casa padronale, dalla cappella e dalla barchessa, allineate lungo il fronte meridionale.
Ora la Villa appartiene alla famiglia Guzzon - Zanobbi.
La presenza, vicinissima, della stupenda palladiana Badoera ha certamente ispirato l'ignoto architetto che, riguardando sempre al Palladio, ma soprattutto a quello di una realizzazione più lontana, la Malcontenta, ha tracciato questo piacevole, dignitosissimo edificio che arricchisce Fratta, uno degli angoli più suggestivi del Polesine.
In esso la Badoera è la incontrastata protagonista che tuttavia riesce a realizzarsi compiutamente anche attraverso le altre presenze che la contornano: l'armonica piazza di fronte e Villa Grimani Molin da un lato.
Nelle mappe del Catastico veneto del 1775, la proprietà di Villa Molin risulta essere del nobil uomo Giovanni Francesco Correr. Nel complesso si nota un netto distacco fra la corte signorile e la corte di lavoro.
Nella prima spicca l'edificio padronale con due barchesse ai lati, disposte separate e ad esso ortogonali. A differenza della vicina Villa Badoer, orientata in senso est-ovest, la casa dominicale di Villa Molin è orientata in senso nord-sud, come è consueto per gli insediamenti in villa.
Non comprimaria quest'ultima, dunque, ma piuttosto componente attiva e determinante di un insieme che nella sua sintesi raccolta trova pochi confronti nel Veneto.
Il nesso, tra le due ville vicine, pare ritrovare una spiegazione anche nelle affinità di certe decorazioni interne che concordemente la critica attribuisce alla medesima scuola.
Gli affreschi dell'interno, attribuiti per lungo tempo allo stesso Giallo Fiorentino, sono invece opera di Anonimo Grimani, della cerchia artistica di Giuseppe Porta Salviati, cui apparteneva anche il Giallo Fiorentino, che operò nella Villa Badoer.
Committente dell'opera è Andrea da Molin, genero del Grimani. I temi dipinti si ispirano a soggetti già proposti dal Veronese.
Questa Villa sembrerebbe stilisticamente risalire al primo settecento (o all'ultimo seicento) e presenta uno sviluppo asimmetrico per il mancato completamento della sua parte ad occidente.
Possiede due facciate pressoché identiche, con un'unica differenza e cioè che quella a mezzogiorno è ravvivata anche da un balcone, cui sul lato settentrionale corrisponde una semplice finestra.
Una cornice a dentelli orna i timpani superiori e scorre lungo il sottotetto, al di sopra delle finestre ovali dei granai. Si accede al piano superiore con una scala a forbice che si divide dopo la prima rampa.
All'altezza delle finestre del primo piano sono ancora visibili due stemmi comitali in cui è possibile scorgere la traccia di una cicogna e di un angelo (matrimonio Oroboni-Angeli).
La villa è nota per la tragica vicenda del conte Antonio Fortunato Oroboni, patriota carbonaro, arrestato il 12 dicembre 1818 e morto allo Spielberg. La villa è in fase di prossimo restauro.